Un “patto per cambiare il mondo”. Lo ha lanciato papa Francesco ed è stato siglato con l’incontro online di Assisi con centinaia di giovani economisti e imprenditori di Paesi diversi, tutti rigorosamente al di sotto dei 35 anni. “The Economy of Francesco” è il tavolo su cui sono state portate idee, progetti, analisi della realtà globale e delle piccole storie di ordinaria sconfitta. Molte passano per le fragilità dei Sud del mondo. In questa speciale categoria il Mezzogiorno d’Italia, in particolare le aree interne, vi stazionano in cima da sempre. Ai sindaci, ai politici, ai tecnici e agli studiosi di questa emblematica porzione di mondo, riuniti per il Forum 2019 delle aree interne la “lezione” di Luigino Bruni,, docente di economia politica all’università Lumsa di Roma.
L’impressione è che non vi sia consapevolezza di quanto stia accadendo.
“Lo scorrere delle storie lo dimostra chiaramente. Milioni di persone non sono mai andate da nessuna parte se non a qualche chilometro dal proprio territorio, il 10% gira il mondo e il restante 90% percepisce la realtà esclusivamente dai media con il rischio di manipolazione. L’emergenza vera è quella della mancanza di incontri”.
Non è facile fornire ad ampie fasce di persone gli strumenti necessari per leggere la propria realtà e lavorare sul proprio destino. Come se ne esce?
“Non è cosa semplice formare alla condivisione in una società dove il dialogo è sostituito dalla distruzione interpersonale in attesa di un nemico inesistente. Ma il vero tema è evitare la frustrazione di quanti immaginano cammini di riscatto ma percepiscono l’impotenza di fronte ai tentativi di superare storici problemi come quelli delle aree meridionali del Paese”.
Sud, maledetto Sud. I vescovi hanno lanciato un nuovo allarme sulle aree interne che definiscono la “Mezzanotte del Mezzogiorno”…
“La Chiesa sta facendo molto in campo sociale, sostiene anche i tentativi d’impresa giovanile, ma a differenza dei decenni scorsi non ha grandi masse al seguito, i cattolici si dividono mentre il mondo cambia senza più ponti efficaci tra fede e politica”.
Che intende?
“Che proprio la Chiesa dovrebbe riportare al centro della sua testimonianza argomenti come l’unità, la reciprocità, una visione credibile di economia civile di cui avrebbero bisogno proprio i territori del Sud”.
In sostanza: bene comune e pubblica felicità?
“Aggiungerei virtù civiche, amicizia, dialogo, qualità delle relazioni. Si può ripartire dai territori per fare decollare un ciclo pubblico della felicità durevole”.
Chiedere alla politica di lavorare per la felicità sembra un’acrobazia…
“I bisogni capaci di arrivare ala porta di un sindaco sono quelli legati agli interessi di chi sa e può protestare. Ma una società decente si gioca sui bisogni non espressi, di chi non parla perché non può parlare (malati, bambini), o non sa parlare (immigrati), o non parla ancora (le future generazioni). Serve un lavoro di vicinanza, una condivisione, una comunione di attese concrete. La politica da sola non basterebbe e non potrebbe offrire alcuna soluzione: gestisce i problemi, si immunizza da essi, ma non li risolve”.
I giovani. È a loro che il Papa affida il “patto con chi verrà anche dopo di loro”.
“Negli anni Sessanta e Settanta i giovani erano spinti in piazza a occuparsi di faccende pubbliche dalle ideologie, oggi lo fanno interessandosi dell’ambiente, dell’energia, del cibo. A muoverli è la consapevolezza della centralità dei beni comuni, dall’acqua all’aria, alle città. E’ un segnale forte di speranza”.
Speranza che non trova cittadinanza al Sud…
“Attendere dall’alto è un suicidio. Mancano mentalità ed etica del lavoro, e non ci si rende conto che le soluzioni non sono semplici, per di più con una classe politica che non sembra capace di garantire il cambiamento. Che elargisce redditi di cittadinanza, quasi a confermare a persone sfinite che la salvezza arrivi da altri. Questo non fa altro che accentuare il divario Nord-Sud. Il Meridione d’Italia scommetta in maniera più convincente sul principio della sussidiarietà, si arrenda alla logica del “solo tu puoi farcela ma non da solo”.
Nella recente indagine sul ben vivere in Italia emerge un quadro in cui in molte realtà più emarginate la forza dei territori incrocia una sistematica strategia delle solitudini.
“Abbiamo provato, nella ricerca promossa da Avvenire, a cambiare alcuni indicatori, inserendo quelli che sembrano ancora identificare il Sud, come amicizia e tradizioni, ma il risultato resta lo stesso, questa parte di Paese resta sempre indietro. La partita la giocheranno i giovani, ovunque essi troveranno un campo in cui misurarsi e mettere insieme le nuove competenze, sia esso terra di emigrazione o le loro realtà d’origine”.
di Nico De Vincentis
L’impressione è che non vi sia consapevolezza di quanto stia accadendo.
“Lo scorrere delle storie lo dimostra chiaramente. Milioni di persone non sono mai andate da nessuna parte se non a qualche chilometro dal proprio territorio, il 10% gira il mondo e il restante 90% percepisce la realtà esclusivamente dai media con il rischio di manipolazione. L’emergenza vera è quella della mancanza di incontri”.
Non è facile fornire ad ampie fasce di persone gli strumenti necessari per leggere la propria realtà e lavorare sul proprio destino. Come se ne esce?
“Non è cosa semplice formare alla condivisione in una società dove il dialogo è sostituito dalla distruzione interpersonale in attesa di un nemico inesistente. Ma il vero tema è evitare la frustrazione di quanti immaginano cammini di riscatto ma percepiscono l’impotenza di fronte ai tentativi di superare storici problemi come quelli delle aree meridionali del Paese”.
Sud, maledetto Sud. I vescovi hanno lanciato un nuovo allarme sulle aree interne che definiscono la “Mezzanotte del Mezzogiorno”…
“La Chiesa sta facendo molto in campo sociale, sostiene anche i tentativi d’impresa giovanile, ma a differenza dei decenni scorsi non ha grandi masse al seguito, i cattolici si dividono mentre il mondo cambia senza più ponti efficaci tra fede e politica”.
Che intende?
“Che proprio la Chiesa dovrebbe riportare al centro della sua testimonianza argomenti come l’unità, la reciprocità, una visione credibile di economia civile di cui avrebbero bisogno proprio i territori del Sud”.
In sostanza: bene comune e pubblica felicità?
“Aggiungerei virtù civiche, amicizia, dialogo, qualità delle relazioni. Si può ripartire dai territori per fare decollare un ciclo pubblico della felicità durevole”.
Chiedere alla politica di lavorare per la felicità sembra un’acrobazia…
“I bisogni capaci di arrivare ala porta di un sindaco sono quelli legati agli interessi di chi sa e può protestare. Ma una società decente si gioca sui bisogni non espressi, di chi non parla perché non può parlare (malati, bambini), o non sa parlare (immigrati), o non parla ancora (le future generazioni). Serve un lavoro di vicinanza, una condivisione, una comunione di attese concrete. La politica da sola non basterebbe e non potrebbe offrire alcuna soluzione: gestisce i problemi, si immunizza da essi, ma non li risolve”.
I giovani. È a loro che il Papa affida il “patto con chi verrà anche dopo di loro”.
“Negli anni Sessanta e Settanta i giovani erano spinti in piazza a occuparsi di faccende pubbliche dalle ideologie, oggi lo fanno interessandosi dell’ambiente, dell’energia, del cibo. A muoverli è la consapevolezza della centralità dei beni comuni, dall’acqua all’aria, alle città. E’ un segnale forte di speranza”.
Speranza che non trova cittadinanza al Sud…
“Attendere dall’alto è un suicidio. Mancano mentalità ed etica del lavoro, e non ci si rende conto che le soluzioni non sono semplici, per di più con una classe politica che non sembra capace di garantire il cambiamento. Che elargisce redditi di cittadinanza, quasi a confermare a persone sfinite che la salvezza arrivi da altri. Questo non fa altro che accentuare il divario Nord-Sud. Il Meridione d’Italia scommetta in maniera più convincente sul principio della sussidiarietà, si arrenda alla logica del “solo tu puoi farcela ma non da solo”.
Nella recente indagine sul ben vivere in Italia emerge un quadro in cui in molte realtà più emarginate la forza dei territori incrocia una sistematica strategia delle solitudini.
“Abbiamo provato, nella ricerca promossa da Avvenire, a cambiare alcuni indicatori, inserendo quelli che sembrano ancora identificare il Sud, come amicizia e tradizioni, ma il risultato resta lo stesso, questa parte di Paese resta sempre indietro. La partita la giocheranno i giovani, ovunque essi troveranno un campo in cui misurarsi e mettere insieme le nuove competenze, sia esso terra di emigrazione o le loro realtà d’origine”.
di Nico De Vincentis