Piano Sud 2030, Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI)
Prima tappa_Aree interne, camminare insieme 5 febbraio 2021 Francesco Monaco Coordinatore comitato tecnico nazionale aree interne Le aree interne non sono il museo del tempo perduto, luoghi ameni dove rilassare le membra del corpo e lo spirito dopo le fatiche, la produzione svolta in città. La Strategia Nazionale per le Aree Interne ha contrastato questo stereotipo fin da quando è nata, perché invece crediamo che questi siano luoghi vitali, dove vale la pena vivere una vita piena, dove vale la pena costruire una famiglia, allevare i figli, lavorare, sviluppare la propria creatività, dare un contributo al paese. Noi crediamo che lavorare sulle leve delle politiche pubbliche, immettere questi territori nelle dinamiche delle politiche nazionali, che stiamo definendo, è essenziale in questa fase inziale per consentire al Paese di riprendersi dopo questa pandemia e di rilanciarsi.Per fare ciò abbiamo affrontato e cercato di fronteggiare i nodi che impediscono ai territori in questione di passare dallo stereotipo a luoghi in cui vale la pena vivere. I nodi essenziali sono due: l’accesso ai servizi di cittadinanza e il lavoro/sviluppo economico. Sono le due questioni su cui ruota la Strategia Nazionale per le Aree Interne, pensata come modello innovativo con interventi di politiche pubbliche per affrontare i problemi dei territori, ovvero di accesso, di spopolamento e di carenza di lavoro. La svolta La logica della sperimentazione prevedeva di capovolgere la logica usata nella ripartizione, nella programmazione delle risorse pubbliche per le aree interne utilizzate fino a quel momento. Questi 1.066 comuni, una parte dei quattromila e più comuni classificati come aree interne, cioè come comuni che soffrono l’isolamento, la distanza dei servizi, spopolamento, sono stati molto finanziati nelle passate programmazioni, risorse soprattutto straordinarie, progetti e tantissime sigle che nascondevano trasferimenti essenzialmente a pioggia. Abbiamo abbandonato questo metodo che non ha prodotto risultati, anzi ha peggiorato i tassi di spopolamento per promuovere un metodo nuovo. Abbiamo lavorato sulla filiera istituzionale, perché chi sa che cosa fare, dove indirizzare le risorse, sono le persone che vivono in questi luoghi e quindi i sindaci, l’istanza democratica che ne rappresentano le esigenze. Siamo partiti, quindi, dai bisogni, attraverso una mappatura anche delle informazioni e dei dati che possiamo avere su queste aree (socioeconomici, caratteristiche strutturali…). È una delle politiche più trasparenti che abbiamo in Italia. Sui siti dell’Agenzia per la coesione oppure sul sito di Open coesione, che tutti possono consultare, vedrete che c’è una batteria di circa centoquaranta indicatori, che misura esattamente, comune per comune, le caratteristiche socioeconomiche, la presenza di imprese, il peso dell’agricoltura, il problema dei servizi. Attraverso un indicatore, abbiamo misurato, quanto tempo impiega un’ambulanza ad arrivare in un posto del genere nel caso ci sia un’urgenza; abbiamo misurato nel dettaglio quante persone immigrate sono impiegate nelle aziende locali. Abbiamo voluto restituire, intanto a chi vive in questi territori, una rappresentazione fedele dei numeri, delle caratteristiche per dare la palla a loro, per definire e costruire, insieme a noi, una visione e individuare i progetti da realizzare. Inoltre c’è stato anche un ruolo più proattivo del centro. Purtroppo viviamo il problema della nostra amministrazione, definita difensiva, che ha la cultura dell’adempimento, si sente soddisfatta se applica la legge (questo è un valore, certo), però si ferma lì, non cerca di capire come effettivamente rimuovere gli ostacoli allo sviluppo economico. I “campanili” Il punto di vista del centro è importante perché, se le scelte vengono lasciate a livello locale è inevitabile che ci siano fenomeni di localismo, campanilismo. Più volte è stato detto che in questi luoghi la classe dirigente locale deve avere la capacità di difendere il proprio campanile, perché è importante, ma altrettanto importante è la capacità di salire sopra il campanile e guardare oltre al livello di sistema territoriale; se si resta fermi sulle esigenze del proprio comune, non si va avanti. Siamo andati lì, abbiamo chiesto ai sindaci di lavorare in forma associata, di concepirsi come sistema e non come singolo comune. Tutto ciò ha rappresentato uno sforzo importante, in tutte le settantadue aree i comuni hanno lavorato in gestione associata di servizi e di funzioni (chi ha lavorato sul catasto, chi sulla protezione civile, chi sul trasporto scolastico…). È chiaro che un ruolo lo hanno avuto anche le Regioni e hanno pesato anche scelte di discrezionalità amministrative e politiche. Diciamo che il bando competitivo sembra uno strumento neutro ma in realtà non lo è perché di fatto può premiare alcuni soggetti anziché altri e dietro il meccanismo competitivo si possono nascondere anche forti meccanismi di discriminazione. Nelle procedure negoziate, che abbiamo usato, c’è di sicuro una componente di discrezionalità; il ruolo dello Stato, attraverso il Comitato, nel confronto continuo con le regioni, con i comuni e con le popolazioni locali ha costituito un’arena in cui la discrezionalità comunque era sottoposta anche ad elementi di trasparenza. I risultati Abbiamo provato a chiudere tutti i lavori e tutte le procedure per mettere in condizione che tutte le 72 aree potessero definire il proprio piano di interventi. Ogni intervento è stato scelto dai territori, dall’istituzione di un infermiere di comunità, la costruzione di un polo scolastico, la costruzione della rete dei medici di medicina generale, l’ostetrica di comunità, l’istituzione di un taxi a chiamata. La Strategia ha già prodotto degli effetti e dei progetti sono stati realizzati, in alcuni casi, anche a costo zero. L’input del Ministro è stato: accelerare. Così è stata chiusa la sperimentazione, su 71 aree delle 72 individuate – se fai una sperimentazione, va bene che ci sia qualche fallimento – siamo nelle condizioni in cui almeno 50 aree hanno un accordo di programma. Si sta lavorando a rafforzare la parte di attuazione, messa in sicurezza della Strategia attraverso l’attuazione con l’Agenzia della coesione. Poi c’è il futuro. Il Ministro Provenzano nel Piano Sud 2030 (c’è una fortissima connessione tra Piano Sud 2030 e Strategia Nazionale per le Aree Interne, anche se quest’ultima è un progetto nazionale e non guarda solo al Sud) ha espresso l’intenzione del Governo di trasformare la sperimentazione in politica strutturale. Il Ministro intanto ha appostato le risorse per attivare questo rilancio, cioè verificare quello che si sta facendo nelle aree, potenziare l’intervento dove sarà necessario e poi rilanciare, attraverso l’intervento in altre aree, per allargare la platea dei beneficiari della Strategia Nazionale per le Aree Interne. vai al video del I° incontro, clicca qui |