RIPARTIRE DAL CENTROCAMPO
Visioni e strategie per comunità vive e coraggiose
di Nico De Vincentiis
Coordinatore Forum Aree Interne
Visioni e strategie per comunità vive e coraggiose
di Nico De Vincentiis
Coordinatore Forum Aree Interne
La metafora calcistica è molto indicata quando si parla di strategie, di visione di gioco, di orizzonti maturi.
C’è da parlare infatti di atleti del cambiamento, di soluzioni tattiche e tecniche, di un nuovo protagonismo giovanile, per innescare una convivialità delle competenze grazie alla quale operare un riassetto profondo del “centrocampo” per rendere competitivi i territori. È in quella parte del campo infatti che si producono le idee più importanti, si evitano inutili giocate a effetto, si lanciano a rete, secondo una logica produttiva, i progetti delle squadre. Il centrocampo è il settore dove la strategia si materializza e consente di armonizzare, in funzione di cerniera, difesa e attacco.
In genere ci si difende a oltranza per evitare contaminazioni e salvaguardare l’identità locale, a volte però esponendosi inevitabilmente all’isolamento. E, quando si tratta di attivare lo schema d’attacco, lo si lascia all’intuizione del singolo amministratore, a trovate quasi sempre in chiave elettorale.
Così non si vincono i campionati, forse qualche partita. Occorre che il centrocampo torni a contare anche per le aree interne, che esse possano dettare strategie innovative, convertire il proprio destino avviando percorsi virtuosi e condivisi. In questo modo anche il consenso scaturirà non dalla capacità di uno sterile e desolante controllo sociale ma da una più generale crescita del livello delle attese e da una migliore impostazione delle domande.
Tutto questo significa il coinvolgimento organico delle intelligenze territoriali per creare un territorio intelligente, significa occupare la speranza e non lasciarla gestire dai mercanti di illusioni, significa provare a mettere al servizio di tutti le rispettive vocazioni. In termini di servizio al bene comune, potremmo considerare questa fase come quella delle solidarietà intermedie, una premura ritrovata che può certificare il carisma e l’eroismo della programmazione come elemento strategico inserito tra la cura delle ferite delle periferie e gli aiuti per superare i drammi dei Paesi più poveri del pianeta. È in questa parte di esperienza civile e politica che dobbiamo individuare il nostro segmento di impegno, oltre le emergenze e prima che i grandi mali dell’umanità possano devastare popoli e comunità, spegnere ogni speranza.
La vera povertà della società di oggi è forse la mancanza di strategie utili a tutti; di infrastrutture valoriali che consentano la costruzione di opere necessarie; di politiche che favoriscano l’uguaglianza, il rispetto dei diritti, la partecipazione, la democrazia e la cittadinanza.
L’esperienza del Forum
Un modello di quanto si possa perseguire per rilanciare l’ansia dell’unità in direzione di nuovi spasmi di orizzonte, è quello in atto nel territorio sannita, uno dei punti-chiave del percorso problematico delle cosiddette aree interne. Amministratori, operatori socio-politici, tecnici e imprenditori di queste realtà fragili, storicamente svantaggiate sul piano sociale ed economico, ma ricche di potenzialità, dal 2019 si confrontano sulle problematiche dello sviluppo mancato, del progressivo e inarrestabile spopolamento, ma anche sulle nuove opportunità e la possibilità di nuovi coinvolgimenti programmatici e operativi.
La sfida è quella di creare un nuovo clima di consapevolezza e di offerta di competenze, le sole condizioni capaci di evitare che una generosa visione di sviluppo e di cambiamento possa infrangersi contro gli scogli della superficialità, della pigrizia e della scarsa formazione tecnica e politica. Un tentativo di creare spazi di dialogo e percorsi di concreta coesione.
Le aree interne rappresentano emblematicamente, oltre che per condizione infrastrutturale e socio-economica, l’Italia che insegue, quella meno competitiva e ascoltata, la più debole ed emarginata. Una questione nazionale ormai, che coinvolge territori sempre più vasti del Paese. Alla storica emarginazione del Meridione si aggiunge infatti una lunga serie di problematiche appartenenti anche a realtà del centro-nord rappresentate oggi, anche con una modalità nuova di compassione e di impegno, dal Forum delle aree interne e dai “Vescovi per le aree interne”, quest’ultima intuizione assolutamente innovativa e in grado di comprendere e interconnettere l’ansia pastorale con l’urgenza di riscatto sociale ed economico delle comunità più emarginate.
Il Forum punta a sperimentare lo spirito di unità per una nuova frontiera dei territori, orientata a una visione comune e condivisa rispetto alle chiusure egoistiche, spesso a fughe solitarie furbescamente utilizzate come scorciatoie a scapito di azioni e disegni plurali e convergenti. I presuli studiano forme diverse e contestualizzate di impegno ecclesiale. In entrambi i casi si tratta di affrontare con più determinazione e realismo il doppio stato di crisi di certi territori e la difficile condizione nella quale in essi si produce comunque il tentativo di inclusione e di integrazione culturale e politica.
Dopo il Forum introduttivo del 2019 e quello realizzato attraverso tre webinar tematici (febbraio e marzo 2021), il terzo appuntamento ha consentito a Comuni, istituzioni territoriali, rappresentanti del mondo delle imprese, soggetti sociali e appartenenti alle categorie professionali, ai giovani studenti, di avvicinarsi a un percorso di pianificazione più profonda all’interno di uno scenario di interdipendenza e di reciprocità in cui sfruttare anche la terza missione delle Università alle quali va chiesto un più efficace trasferimento scientifico, tecnologico e culturale, e soprattutto la trasformazione produttiva delle conoscenze attraverso progetti di carattere educativo, culturale, sociale, oltre a un più evidente coinvolgimento civile.
Il Forum 2022 ha naturalmente affrontato questioni che accomunano le varie vicende territoriali e soprattutto, anche alla luce delle potenzialità (ma anche dei rischi) rappresentate dal PNRR nazionale, la pratica attuazione di disegni condivisi. PNRR e Recovery che non vanno assunti come la riproposta di un modello passivo e assistenziale di fruizione da parte degli enti locali, quasi un “reddito di cittadinanza” per i Comuni, quanto la chiave possibile per restituire alle comunità locali un protagonismo, una capacità progettuale e di visione con la quale implementare le intelligenze locali e le risorse territoriali in funzione di sviluppo.
Alcuni segnali, come la storica indolenza e pigrizia mostrata dagli amministratori rispetto a certe opportunità di coinvolgimento culturale e programmatico, purtroppo lasciano dubbi sulla reale volontà di spendere nel modo giusto il ruolo di classe dirigente, rimettendosi ancora una volta agli scampoli di distribuzione clientelare di fondi e di opportunità.
Le comunità hanno bisogno di nuove e autentiche svolte.
È indubbio che il tratto distintivo e originale di questa recente esperienza di mobilitazione delle aree interne sembra essere l’impegno delle Chiese locali, protagoniste di una irruzione “rumorosa” e sapiente nell’agenda nazionale, con la quale sono stati riproposti con forza i mali dei vari Sud d’Italia e denunciate le strutture di peccato che contribuiscono a non risolvere questioni ultrasecolari nonostante la modernità, la globalizzazione e l’innovazione tecnologica abbiano creato condizioni di novità.
Numerose comunità cristiane, attraverso i loro vescovi, si sono espresse con toni duri rispetto ai ritardi e ai tentennamenti dei governi, ma anche sottolineato la necessità, in ambito ecclesiale e pastorale, di una diversa e più marcata attenzione ai nodi sociali, contribuendo a disegnare un nuovo modello di sviluppo, equo e condiviso, in cui le aree interne possano diventare concretamente il polmone del Paese, offrendo risorse e disponibilità a costruire, intorno alle loro potenzialità di carattere naturale, paesaggistico, storico e culturale, una vera prospettiva di riscatto e di integrazione.
Una sfida non tra le più facili, come dimostra la fatica a condividere e rilanciare i pronunciamenti alti e diretti da parte di papa Francesco con le sue encicliche “Laudato sì” e “Fratelli tutti”, con le quali indica una traiettoria di sviluppo economico e sociale, equo e solidale e il cui percorso è divenuto comunque un riferimento per numerosi Paesi europei (l’Italia non è in questo elenco) nel quale si sono già inseriti concretamente e operano esperti, dove si si maturano programmi governativi e si mobilitano soggetti economici e politici.
È necessario però un impegno straordinario per risollevare le sorti dei 5.500 comuni al di sotto dei 5.000 abitanti che rappresentano quasi il 70% dei comuni italiani pur contando solo il 17% della popolazione complessiva. Sono 1.900 i centri al di sotto dei mille abitanti e a rischio di estinzione. Ad oggi non si potrebbe immaginare una duratura ed equilibrata ripresa del Paese se oltre 13 milioni di abitanti si ritrovano in una condizione di marginalità territoriale che talvolta incide sullo stesso godimento dei diritti di cittadinanza.
Ancora una volta dobbiamo ripetere a noi stessi che certi territori non hanno un destino già segnato, esso è nelle mani delle intelligenze locali, nella forza della comunità e nei percorsi condivisi.
L’agenda possibile
È utile ribadire una serie di priorità, rivendicare un diverso e più convinto sostegno del governo, l’attribuzione di risorse finanziarie per la realizzazione di opere fondamentali, soprattutto nel settore dei collegamenti viari e telematici (l’assenza della banda extra larga nega alle aree interne la possibilità di smart working e DAD che eviterebbero ulteriori esodi), facendo in modo che partano dalla periferia e raggiungano le città. Nella nota conclusiva dell’incontro di Benevento nel 2021, i vescovi mettevano in guardia da certe derive. “La diligenza dei fondi europei in arrivo – dichiaravano tra l’altro - non venga assaltata scompostamente ma possa arrivare a destinazione con una distribuzione equa e trasparente; la cultura delle competenze prevalga sulla prassi del ricatto elettorale e del clientelismo; la logica dei campanili non produca ancora fughe solitarie ma venga convertita nella capacità di salire in alto per intravedere una diversa visione del cammino”. Tutto nello scenario di dialogo e reciprocità come modello ecclesiale e politico per attraversare le transizioni dei prossimi anni.
Non si può parlare di strategie senza pensare ai giovani, ai quali donare la possibilità di vivere con realismo i loro sogni e favorire una partecipazione attiva e consapevole alle dinamiche sociali e politiche.
Il terzo Forum ha sancito l’avvio di una stagione formativa, ritenuta decisiva sia dai governi che dalle comunità locali, offrendo strumenti adeguati perché si giunga a un livello alto di competenze e così premiare la rincorsa di certi territori. Una formazione tecnico-scientifica, ma soprattutto culturale, che possa favorire la manutenzione dei valori fondativi, soprattutto quelli alla base di una conversione solidale e di processi che riescano finalmente a stravolgere la stagnazione delle coscienze portando linfa nuova ai percorsi di unità e di coesione sociale e politica.
L’impegno è: produrre uno sforzo comune e perseguire un preciso modello partecipativo; costruire ponti con le istituzioni nazionali e periferiche; collaborare con gli attori istituzionali nell’ambito della SNAI; agganciare la scuola e l’educazione scolastica ai bisogni culturali e tecnici delle realtà locali; produrre luoghi di crescita giovanile sul fronte della integrazione occupazionale e della creatività; potenziare gli strumenti di cura e assistenza delle popolazioni e superare i gap strutturali tra le regioni; colmare il digital divide che oggi contribuisce a emarginare intere popolazioni, specialmente del Sud Italia.
Per perseguire certi obiettivi occorre che si maturi una cultura del tempo e dei luoghi in cui produrre programmi e progetti, formare competenze di territorio e creare strumenti attivi di concertazione civile, ribaltando la logica antidemocratica del controllo clientelare della comunità che continua a proporre l’orizzonte corto delle prossime, e sempre più ravvicinate, elezioni.
Sconfiggere così l’arroganza delle debolezze alla quale sono tentate molte comunità e introdurre il valore aggiunto dei singoli prodotti individuali rappresentato dalla visione e dalla condivisione. Solo così si sostituirà alla logica delle promesse quella delle premesse grazie alla quale farsi tutti amministratori dei territori, operare una trasformazione, anche strutturale (biennio unico e specializzazione nel triennio delle scuole secondarie superiori) della scuola a cui affidare, prima ancora delle università, una terza missione che la leghi alla storia e al futuro della comunità civile e politica (progetti che potrebbero avere il senso di “città a scuola, scuola di città”) e possa frenare la pandemia delle incompetenze che continua a colpire le classi dirigenti del Paese. Si aiuteranno così anche i giovani a fare scelte corrette e utili, senza restare nel dubbio se scegliere una strada desiderata ma impervia oppure quella che porti più direttamente a un lavoro qualsiasi.
In questa cornice di speranza i giovani, che hanno presentato al Forum e al governo la loro “Carta”, stanno indicando a tutti la necessità di nuove segnaletiche virtuose, avviano sfide di alto profilo (al Forum del 2022 si sono registrate testimonianze su progetti avviati nei campi delle tecnologie e gestione dell’energia, dell’agricoltura partecipata, colta e solidale, dei percorsi attivi e della impresa a sostegno della valorizzazione dei beni culturali) in cui inserire la componente del sogno come parte decisiva della rivoluzione quotidiana. La democrazia così tornerà a essere descritta come consapevolezza e la partecipazione nascerà dalla qualità della proposta.
Torna l’esigenza di organizzare Banche del Tempo in cui ognuno scenda in campo per quello che può dare agli altri, alla causa comune, a un piano di riscatto delle aree più emarginate. Una importante chiamata a raccolta di un volontariato troppo “distratto” dalla rincorsa alle forme di impresa sociale, utili a produrre reddito ma con la controindicazione di uno svuotamento progressivo del volontariato puro, vero motore della testimonianza civile e cristiana.
Spuntano comunque sul terreno seminato in questi ultimi anni una serie di novità che non sembra rappresentino una semplice organizzazione della restanza giovanile quanto una nuova segnaletica che potrebbe spiazzare la politica cinica e indolente, riaccendere desideri e passioni, produrre i germi per comunità vive e coraggiose.
Purtroppo l’isolamento produce diffidenza, fa perdere la percezione della comunità e il senso di fiducia, porta a deleghe non sostenute dalla libertà e dalla consapevolezza, ci riduce alla resa incondizionata di fronte a un presente immobile, inchiodati a un suolo lento mentre tutto corre intorno, che marchia in maniera indelebile la storia e l’attualità delle popolazioni.
Provare allora a guardare in alto e in avanti, nonostante l’elastico della realtà riporti sempre al punto di partenza (la statistica delle aree interne dice che su dieci proposte di lavoro, magari precario e a termine, nove giovani rinunciano preferendo il reddito di cittadinanza) e provare sul serio a sdoganare il sogno, come categoria decisiva per lo sviluppo di certi territori. Al Forum beneventano i giovani hanno dimostrato che esso può tornare ad essere percepito come un valore attivo e non più, semplicemente, una forma raffinata di arrendevolezza. In un tempo di evidente sganciamento morale, si sta riflettendo su come evitare che la speranza resti ancora una forma di ottimismo passivo, creando inevitabili sale di attesa per prestazioni di assistenzialismo pervicace e doloroso, vera e propria ferita indelebile per certe aree del Paese. Certo, un sogno ha bisogno di una partecipazione convinta alle dinamiche che possano favorirne il risultato. Oggi pare che si possa inaugurare una fase incoraggiante nella quale, soprattutto i giovani, potranno perseguire con lucidità i loro obiettivi, smarcandosi dalle dinamiche asfissianti che da sempre ne limitano il respiro. Gli amministratori, molto spesso il vero anello debole della filiera territoriale, continuano a pensare che la loro elezione rappresenti il traguardo del loro investimento politico e non invece l’avvio di un percorso formativo ed esperienziale. Questo contribuisce a perpetuare l’appiattimento doloso sull’apparenza mentre la progettualità è lasciata alle centrali di produzione industriale di soluzioni inutili e senz’anima.
Il confronto
L’atteggiamento giusto è monitorare con una maggiore continuità l’aria che avvolge i territori, l’evoluzione non solo climatica ma sociale e culturale, prima di proporre idee e percorsi. Proviamo ad esempio a osservare se le nostre comunità pratichino una memoria dinamica, una concretezza visionaria e una speranza consapevole.
Grazie a questa chiave di lettura, il terzo Forum ha fatto emergere indicazioni importanti all’interno del capitolo delle transizioni e dei nuovi strumenti di coesione.
Temi da considerare strettamente collegati a quello dei piccoli borghi per consentire una valutazione compiuta del rapporto potenzialità-valorizzazione. Un recuperato equilibrio produttivo delle risorse in questo caso risolverebbe infatti una fetta consistente di progettualità virtuosa, coinvolgendo in essa fasce generazionali diverse e contribuendo a uno scambio di saperi e di conoscenze. Su un altro tema, quello della partecipazione e della tutela dei diritti, molti spunti emersi al Forum portano direttamente all’apertura di alcuni fronti di impegno concreto, soprattutto in materia di formazione e di condivisione di pratiche di cittadinanza attiva.
Una nuova frontiera dei territori passa per la consapevolezza del ruolo di ognuno nella società di corsa, che va presa in corsa badando però a non perdere nello slancio il bagaglio necessario.
Nell’immediato il Forum ha posto in agenda alcune iniziative:
- Ordine del giorno da consegnare ai consigli comunali per il superamento del digital divide.
- Ordine del giorno da consegnare ai consigli comunali per la tutela della emittenza privata al servizio delle realtà più emarginate.
- Intervento politico nei confronti delle Regioni che hanno deliberato il blocco del ticket per le prestazioni specialistiche e diagnostiche oltre il 15 di ogni mese mettendo in ginocchio e ledendo i diritti delle fasce di popolazione più fragili.
- Coinvolgimento attivo nel percorso della candidatura Unesco dell’Appia Antica offrendo contenuti di carattere culturale e imprenditoriale per la definizione di percorsi turistici e valoriali (Via della pace e dello sviluppo).
- Riconoscimento istituzionale, nell’ambito delle deleghe regionali, all’impegno di base a favore dello sviluppo e della tutela dei diritti delle aree interne.
- Creazione di mappe turistiche interprovinciali.
- Intese strutturali tra Forum e associazioni, fondazioni e agenzie per lo sviluppo dei territori interni.
- Scuola di alta formazione per amministratori e dirigenti di enti locali su base territoriale.
- Rete dei giovani amministratori.
- Programma annuale di sostegno al percorso formativo dei giovani sui temi dello sviluppo e dell’impegno di cittadinanza.
C’è da parlare infatti di atleti del cambiamento, di soluzioni tattiche e tecniche, di un nuovo protagonismo giovanile, per innescare una convivialità delle competenze grazie alla quale operare un riassetto profondo del “centrocampo” per rendere competitivi i territori. È in quella parte del campo infatti che si producono le idee più importanti, si evitano inutili giocate a effetto, si lanciano a rete, secondo una logica produttiva, i progetti delle squadre. Il centrocampo è il settore dove la strategia si materializza e consente di armonizzare, in funzione di cerniera, difesa e attacco.
In genere ci si difende a oltranza per evitare contaminazioni e salvaguardare l’identità locale, a volte però esponendosi inevitabilmente all’isolamento. E, quando si tratta di attivare lo schema d’attacco, lo si lascia all’intuizione del singolo amministratore, a trovate quasi sempre in chiave elettorale.
Così non si vincono i campionati, forse qualche partita. Occorre che il centrocampo torni a contare anche per le aree interne, che esse possano dettare strategie innovative, convertire il proprio destino avviando percorsi virtuosi e condivisi. In questo modo anche il consenso scaturirà non dalla capacità di uno sterile e desolante controllo sociale ma da una più generale crescita del livello delle attese e da una migliore impostazione delle domande.
Tutto questo significa il coinvolgimento organico delle intelligenze territoriali per creare un territorio intelligente, significa occupare la speranza e non lasciarla gestire dai mercanti di illusioni, significa provare a mettere al servizio di tutti le rispettive vocazioni. In termini di servizio al bene comune, potremmo considerare questa fase come quella delle solidarietà intermedie, una premura ritrovata che può certificare il carisma e l’eroismo della programmazione come elemento strategico inserito tra la cura delle ferite delle periferie e gli aiuti per superare i drammi dei Paesi più poveri del pianeta. È in questa parte di esperienza civile e politica che dobbiamo individuare il nostro segmento di impegno, oltre le emergenze e prima che i grandi mali dell’umanità possano devastare popoli e comunità, spegnere ogni speranza.
La vera povertà della società di oggi è forse la mancanza di strategie utili a tutti; di infrastrutture valoriali che consentano la costruzione di opere necessarie; di politiche che favoriscano l’uguaglianza, il rispetto dei diritti, la partecipazione, la democrazia e la cittadinanza.
L’esperienza del Forum
Un modello di quanto si possa perseguire per rilanciare l’ansia dell’unità in direzione di nuovi spasmi di orizzonte, è quello in atto nel territorio sannita, uno dei punti-chiave del percorso problematico delle cosiddette aree interne. Amministratori, operatori socio-politici, tecnici e imprenditori di queste realtà fragili, storicamente svantaggiate sul piano sociale ed economico, ma ricche di potenzialità, dal 2019 si confrontano sulle problematiche dello sviluppo mancato, del progressivo e inarrestabile spopolamento, ma anche sulle nuove opportunità e la possibilità di nuovi coinvolgimenti programmatici e operativi.
La sfida è quella di creare un nuovo clima di consapevolezza e di offerta di competenze, le sole condizioni capaci di evitare che una generosa visione di sviluppo e di cambiamento possa infrangersi contro gli scogli della superficialità, della pigrizia e della scarsa formazione tecnica e politica. Un tentativo di creare spazi di dialogo e percorsi di concreta coesione.
Le aree interne rappresentano emblematicamente, oltre che per condizione infrastrutturale e socio-economica, l’Italia che insegue, quella meno competitiva e ascoltata, la più debole ed emarginata. Una questione nazionale ormai, che coinvolge territori sempre più vasti del Paese. Alla storica emarginazione del Meridione si aggiunge infatti una lunga serie di problematiche appartenenti anche a realtà del centro-nord rappresentate oggi, anche con una modalità nuova di compassione e di impegno, dal Forum delle aree interne e dai “Vescovi per le aree interne”, quest’ultima intuizione assolutamente innovativa e in grado di comprendere e interconnettere l’ansia pastorale con l’urgenza di riscatto sociale ed economico delle comunità più emarginate.
Il Forum punta a sperimentare lo spirito di unità per una nuova frontiera dei territori, orientata a una visione comune e condivisa rispetto alle chiusure egoistiche, spesso a fughe solitarie furbescamente utilizzate come scorciatoie a scapito di azioni e disegni plurali e convergenti. I presuli studiano forme diverse e contestualizzate di impegno ecclesiale. In entrambi i casi si tratta di affrontare con più determinazione e realismo il doppio stato di crisi di certi territori e la difficile condizione nella quale in essi si produce comunque il tentativo di inclusione e di integrazione culturale e politica.
Dopo il Forum introduttivo del 2019 e quello realizzato attraverso tre webinar tematici (febbraio e marzo 2021), il terzo appuntamento ha consentito a Comuni, istituzioni territoriali, rappresentanti del mondo delle imprese, soggetti sociali e appartenenti alle categorie professionali, ai giovani studenti, di avvicinarsi a un percorso di pianificazione più profonda all’interno di uno scenario di interdipendenza e di reciprocità in cui sfruttare anche la terza missione delle Università alle quali va chiesto un più efficace trasferimento scientifico, tecnologico e culturale, e soprattutto la trasformazione produttiva delle conoscenze attraverso progetti di carattere educativo, culturale, sociale, oltre a un più evidente coinvolgimento civile.
Il Forum 2022 ha naturalmente affrontato questioni che accomunano le varie vicende territoriali e soprattutto, anche alla luce delle potenzialità (ma anche dei rischi) rappresentate dal PNRR nazionale, la pratica attuazione di disegni condivisi. PNRR e Recovery che non vanno assunti come la riproposta di un modello passivo e assistenziale di fruizione da parte degli enti locali, quasi un “reddito di cittadinanza” per i Comuni, quanto la chiave possibile per restituire alle comunità locali un protagonismo, una capacità progettuale e di visione con la quale implementare le intelligenze locali e le risorse territoriali in funzione di sviluppo.
Alcuni segnali, come la storica indolenza e pigrizia mostrata dagli amministratori rispetto a certe opportunità di coinvolgimento culturale e programmatico, purtroppo lasciano dubbi sulla reale volontà di spendere nel modo giusto il ruolo di classe dirigente, rimettendosi ancora una volta agli scampoli di distribuzione clientelare di fondi e di opportunità.
Le comunità hanno bisogno di nuove e autentiche svolte.
È indubbio che il tratto distintivo e originale di questa recente esperienza di mobilitazione delle aree interne sembra essere l’impegno delle Chiese locali, protagoniste di una irruzione “rumorosa” e sapiente nell’agenda nazionale, con la quale sono stati riproposti con forza i mali dei vari Sud d’Italia e denunciate le strutture di peccato che contribuiscono a non risolvere questioni ultrasecolari nonostante la modernità, la globalizzazione e l’innovazione tecnologica abbiano creato condizioni di novità.
Numerose comunità cristiane, attraverso i loro vescovi, si sono espresse con toni duri rispetto ai ritardi e ai tentennamenti dei governi, ma anche sottolineato la necessità, in ambito ecclesiale e pastorale, di una diversa e più marcata attenzione ai nodi sociali, contribuendo a disegnare un nuovo modello di sviluppo, equo e condiviso, in cui le aree interne possano diventare concretamente il polmone del Paese, offrendo risorse e disponibilità a costruire, intorno alle loro potenzialità di carattere naturale, paesaggistico, storico e culturale, una vera prospettiva di riscatto e di integrazione.
Una sfida non tra le più facili, come dimostra la fatica a condividere e rilanciare i pronunciamenti alti e diretti da parte di papa Francesco con le sue encicliche “Laudato sì” e “Fratelli tutti”, con le quali indica una traiettoria di sviluppo economico e sociale, equo e solidale e il cui percorso è divenuto comunque un riferimento per numerosi Paesi europei (l’Italia non è in questo elenco) nel quale si sono già inseriti concretamente e operano esperti, dove si si maturano programmi governativi e si mobilitano soggetti economici e politici.
È necessario però un impegno straordinario per risollevare le sorti dei 5.500 comuni al di sotto dei 5.000 abitanti che rappresentano quasi il 70% dei comuni italiani pur contando solo il 17% della popolazione complessiva. Sono 1.900 i centri al di sotto dei mille abitanti e a rischio di estinzione. Ad oggi non si potrebbe immaginare una duratura ed equilibrata ripresa del Paese se oltre 13 milioni di abitanti si ritrovano in una condizione di marginalità territoriale che talvolta incide sullo stesso godimento dei diritti di cittadinanza.
Ancora una volta dobbiamo ripetere a noi stessi che certi territori non hanno un destino già segnato, esso è nelle mani delle intelligenze locali, nella forza della comunità e nei percorsi condivisi.
L’agenda possibile
È utile ribadire una serie di priorità, rivendicare un diverso e più convinto sostegno del governo, l’attribuzione di risorse finanziarie per la realizzazione di opere fondamentali, soprattutto nel settore dei collegamenti viari e telematici (l’assenza della banda extra larga nega alle aree interne la possibilità di smart working e DAD che eviterebbero ulteriori esodi), facendo in modo che partano dalla periferia e raggiungano le città. Nella nota conclusiva dell’incontro di Benevento nel 2021, i vescovi mettevano in guardia da certe derive. “La diligenza dei fondi europei in arrivo – dichiaravano tra l’altro - non venga assaltata scompostamente ma possa arrivare a destinazione con una distribuzione equa e trasparente; la cultura delle competenze prevalga sulla prassi del ricatto elettorale e del clientelismo; la logica dei campanili non produca ancora fughe solitarie ma venga convertita nella capacità di salire in alto per intravedere una diversa visione del cammino”. Tutto nello scenario di dialogo e reciprocità come modello ecclesiale e politico per attraversare le transizioni dei prossimi anni.
Non si può parlare di strategie senza pensare ai giovani, ai quali donare la possibilità di vivere con realismo i loro sogni e favorire una partecipazione attiva e consapevole alle dinamiche sociali e politiche.
Il terzo Forum ha sancito l’avvio di una stagione formativa, ritenuta decisiva sia dai governi che dalle comunità locali, offrendo strumenti adeguati perché si giunga a un livello alto di competenze e così premiare la rincorsa di certi territori. Una formazione tecnico-scientifica, ma soprattutto culturale, che possa favorire la manutenzione dei valori fondativi, soprattutto quelli alla base di una conversione solidale e di processi che riescano finalmente a stravolgere la stagnazione delle coscienze portando linfa nuova ai percorsi di unità e di coesione sociale e politica.
L’impegno è: produrre uno sforzo comune e perseguire un preciso modello partecipativo; costruire ponti con le istituzioni nazionali e periferiche; collaborare con gli attori istituzionali nell’ambito della SNAI; agganciare la scuola e l’educazione scolastica ai bisogni culturali e tecnici delle realtà locali; produrre luoghi di crescita giovanile sul fronte della integrazione occupazionale e della creatività; potenziare gli strumenti di cura e assistenza delle popolazioni e superare i gap strutturali tra le regioni; colmare il digital divide che oggi contribuisce a emarginare intere popolazioni, specialmente del Sud Italia.
Per perseguire certi obiettivi occorre che si maturi una cultura del tempo e dei luoghi in cui produrre programmi e progetti, formare competenze di territorio e creare strumenti attivi di concertazione civile, ribaltando la logica antidemocratica del controllo clientelare della comunità che continua a proporre l’orizzonte corto delle prossime, e sempre più ravvicinate, elezioni.
Sconfiggere così l’arroganza delle debolezze alla quale sono tentate molte comunità e introdurre il valore aggiunto dei singoli prodotti individuali rappresentato dalla visione e dalla condivisione. Solo così si sostituirà alla logica delle promesse quella delle premesse grazie alla quale farsi tutti amministratori dei territori, operare una trasformazione, anche strutturale (biennio unico e specializzazione nel triennio delle scuole secondarie superiori) della scuola a cui affidare, prima ancora delle università, una terza missione che la leghi alla storia e al futuro della comunità civile e politica (progetti che potrebbero avere il senso di “città a scuola, scuola di città”) e possa frenare la pandemia delle incompetenze che continua a colpire le classi dirigenti del Paese. Si aiuteranno così anche i giovani a fare scelte corrette e utili, senza restare nel dubbio se scegliere una strada desiderata ma impervia oppure quella che porti più direttamente a un lavoro qualsiasi.
In questa cornice di speranza i giovani, che hanno presentato al Forum e al governo la loro “Carta”, stanno indicando a tutti la necessità di nuove segnaletiche virtuose, avviano sfide di alto profilo (al Forum del 2022 si sono registrate testimonianze su progetti avviati nei campi delle tecnologie e gestione dell’energia, dell’agricoltura partecipata, colta e solidale, dei percorsi attivi e della impresa a sostegno della valorizzazione dei beni culturali) in cui inserire la componente del sogno come parte decisiva della rivoluzione quotidiana. La democrazia così tornerà a essere descritta come consapevolezza e la partecipazione nascerà dalla qualità della proposta.
Torna l’esigenza di organizzare Banche del Tempo in cui ognuno scenda in campo per quello che può dare agli altri, alla causa comune, a un piano di riscatto delle aree più emarginate. Una importante chiamata a raccolta di un volontariato troppo “distratto” dalla rincorsa alle forme di impresa sociale, utili a produrre reddito ma con la controindicazione di uno svuotamento progressivo del volontariato puro, vero motore della testimonianza civile e cristiana.
Spuntano comunque sul terreno seminato in questi ultimi anni una serie di novità che non sembra rappresentino una semplice organizzazione della restanza giovanile quanto una nuova segnaletica che potrebbe spiazzare la politica cinica e indolente, riaccendere desideri e passioni, produrre i germi per comunità vive e coraggiose.
Purtroppo l’isolamento produce diffidenza, fa perdere la percezione della comunità e il senso di fiducia, porta a deleghe non sostenute dalla libertà e dalla consapevolezza, ci riduce alla resa incondizionata di fronte a un presente immobile, inchiodati a un suolo lento mentre tutto corre intorno, che marchia in maniera indelebile la storia e l’attualità delle popolazioni.
Provare allora a guardare in alto e in avanti, nonostante l’elastico della realtà riporti sempre al punto di partenza (la statistica delle aree interne dice che su dieci proposte di lavoro, magari precario e a termine, nove giovani rinunciano preferendo il reddito di cittadinanza) e provare sul serio a sdoganare il sogno, come categoria decisiva per lo sviluppo di certi territori. Al Forum beneventano i giovani hanno dimostrato che esso può tornare ad essere percepito come un valore attivo e non più, semplicemente, una forma raffinata di arrendevolezza. In un tempo di evidente sganciamento morale, si sta riflettendo su come evitare che la speranza resti ancora una forma di ottimismo passivo, creando inevitabili sale di attesa per prestazioni di assistenzialismo pervicace e doloroso, vera e propria ferita indelebile per certe aree del Paese. Certo, un sogno ha bisogno di una partecipazione convinta alle dinamiche che possano favorirne il risultato. Oggi pare che si possa inaugurare una fase incoraggiante nella quale, soprattutto i giovani, potranno perseguire con lucidità i loro obiettivi, smarcandosi dalle dinamiche asfissianti che da sempre ne limitano il respiro. Gli amministratori, molto spesso il vero anello debole della filiera territoriale, continuano a pensare che la loro elezione rappresenti il traguardo del loro investimento politico e non invece l’avvio di un percorso formativo ed esperienziale. Questo contribuisce a perpetuare l’appiattimento doloso sull’apparenza mentre la progettualità è lasciata alle centrali di produzione industriale di soluzioni inutili e senz’anima.
Il confronto
L’atteggiamento giusto è monitorare con una maggiore continuità l’aria che avvolge i territori, l’evoluzione non solo climatica ma sociale e culturale, prima di proporre idee e percorsi. Proviamo ad esempio a osservare se le nostre comunità pratichino una memoria dinamica, una concretezza visionaria e una speranza consapevole.
Grazie a questa chiave di lettura, il terzo Forum ha fatto emergere indicazioni importanti all’interno del capitolo delle transizioni e dei nuovi strumenti di coesione.
Temi da considerare strettamente collegati a quello dei piccoli borghi per consentire una valutazione compiuta del rapporto potenzialità-valorizzazione. Un recuperato equilibrio produttivo delle risorse in questo caso risolverebbe infatti una fetta consistente di progettualità virtuosa, coinvolgendo in essa fasce generazionali diverse e contribuendo a uno scambio di saperi e di conoscenze. Su un altro tema, quello della partecipazione e della tutela dei diritti, molti spunti emersi al Forum portano direttamente all’apertura di alcuni fronti di impegno concreto, soprattutto in materia di formazione e di condivisione di pratiche di cittadinanza attiva.
Una nuova frontiera dei territori passa per la consapevolezza del ruolo di ognuno nella società di corsa, che va presa in corsa badando però a non perdere nello slancio il bagaglio necessario.
Nell’immediato il Forum ha posto in agenda alcune iniziative:
- Ordine del giorno da consegnare ai consigli comunali per il superamento del digital divide.
- Ordine del giorno da consegnare ai consigli comunali per la tutela della emittenza privata al servizio delle realtà più emarginate.
- Intervento politico nei confronti delle Regioni che hanno deliberato il blocco del ticket per le prestazioni specialistiche e diagnostiche oltre il 15 di ogni mese mettendo in ginocchio e ledendo i diritti delle fasce di popolazione più fragili.
- Coinvolgimento attivo nel percorso della candidatura Unesco dell’Appia Antica offrendo contenuti di carattere culturale e imprenditoriale per la definizione di percorsi turistici e valoriali (Via della pace e dello sviluppo).
- Riconoscimento istituzionale, nell’ambito delle deleghe regionali, all’impegno di base a favore dello sviluppo e della tutela dei diritti delle aree interne.
- Creazione di mappe turistiche interprovinciali.
- Intese strutturali tra Forum e associazioni, fondazioni e agenzie per lo sviluppo dei territori interni.
- Scuola di alta formazione per amministratori e dirigenti di enti locali su base territoriale.
- Rete dei giovani amministratori.
- Programma annuale di sostegno al percorso formativo dei giovani sui temi dello sviluppo e dell’impegno di cittadinanza.