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AREE INTERNE / FORUM 2023
RIPARTIRE SENZA PARTIRE
di Nico De Vincentiis
Coordinatore Forum Aree Interne
di Nico De Vincentiis
Coordinatore Forum Aree Interne
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I giovani, gli adulti e gli anziani hanno il compito di rapportarsi costruttivamente tra loro per uno sviluppo integrato delle società locali, soprattutto di quelle periferiche (materiali e culturali), dove si possono sperimentare iniziative creative e utili forme di cooperazione come modello inclusivo e produttivo.
Si riparte da tre parole-chiave: coraggio, dialogo e reciprocità. Esse possono sostenere una più attenta e corresponsabile manutenzione dei valori su cui fondare i nuovi slanci programmatici diretti alla valorizzazione dei beni e delle ricchezze umane, paesaggistiche, culturali, sociali e spirituali di cui godono tantissime realtà territoriali emarginate e scarsamente protette sul piano dei diritti democratici. La riduzione delle distanze planetarie e l’interconnessione permanente da un lato consentono di appropriarsi dei temi più scottanti dell’umanità dall’altro riducono la capacità di appartenenza e allentano l’azione dei sensori territoriali. Tra le varie realtà di riferimento, la scuola e il mondo accademico rappresentano in particolare per i giovani il più efficace laboratorio di equilibrio tra la dimensione globale e quella locale, punto di caduta per una crescita consapevole e sostenibile, per uno sviluppo che possa essere finalmente e seriamente disegnato nei capitoli più profondi delle esperienze politiche e civili – che spesso si fermano al sasso mediatico nello stagno quotidiano che in realtà puntano a perpetuare – e soprattutto aprire un varco di autopropulsione nelle società eterodirette, dal fiato corto e frustrate dalla velocità che semina troppe vittime lungo le sue autostrade a senso unico. Il racconto di comunità antiche e coinvolgenti, che accarezzano e spesso modellano il tempo anche quando faticano ad attraversarlo, e la fretta sembra sopraffarle, è una esperienza plurale in cui tutti hanno dei capitoli da scrivere. La penna più efficace è certamente quella dei giovani, perno di una staffetta in cui raccolgono faticosamente il testimone ma non riescono a trascinarlo verso un orizzonte comune. Se volessimo dare un titolo e una traccia al lavoro a cui sono chiamati, da protagonisti, all’interno dei cantieri di una nuova Arca, potremmo citare Francesco Gabbani che descrive così il rapporto degli uomini di questo tempo con la loro storia nel brano “Spazio tempo”: il passato non dimentica, il futuro fa ginnastica. Una sintesi dei mali di oggi, che derivano dalla facilità con la quale siamo portati a riporre gli attrezzi della memoria collettiva e restare però permanentemente nelle nostre palestre di vita a maturare energie per un coinvolgimento che viene sempre rinviato. E anche quando ci sembra di scendere finalmente in campo lo facciamo per scelte performanti che servono a reggere il confronto individuale nel generale panorama di competizione quotidiana. Intanto il pianeta vive la più drammatica fase del suo ciclo mentre lungo i difficili e tormentati sentieri globali non riusciamo a cogliere le possibili soluzioni a un passo da noi. Simone Cristicchi, nella sua “Abbi cura di me”, ammonisce: siamo sospesi in equilibrio sulla parola “insieme”. L’individualismo esasperato rende inesplorati i sentieri dell’incontro e disinnesca la cultura delle relazioni. |
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ISCRIZIONI E PERNOTTAMENTO Le iscrizioni vengono accettate solo presso la sede del Forum. In caso di richiesta di pernottamento, si prega di contattare direttamente il Centro La Pace. PROGRAMMA
AREE INTERNE / FORUM 2023 Lunedì 29 16:00 Introduzione Monsignor Felice Accrocca arcivescovo metropolita di Benevento Nico De Vincentiis coordinatore Forum Aree Interne 16:30 Giovani: coraggio, dialogo e reciprocità Simone Paglia sindaco di Campolattaro Luca Cavalli presidente Forum giovanile Veronica Barbati presidente nazionale giovani Coldiretti Italo Montella presidente cooperativa sociale Bartolo Longo 17:30 Dibattito 18:30 Muro della pace “Dalle barriere ai disegni di unità” Inaugurazione del cantiere Martedì 30 9:00 Territori fragili e rassegnati? Delio Miotti consigliere economico Svimez 9:45 Dibattito 10:30>12:30 Lavoro nei cantieri Partecipazione, diritti e sinergie istituzionali Cooperazione, mercato e sviluppo Controesodo e sfide progettuali Sussidiarietà e cura alle persone Beni culturali-paesaggistici, salvaguardia e valorizzazione turistica Bellezza, tecnologie e nuovi linguaggi 13:00 Pranzo 15:00>19:00 Lavoro nei cantieri Definizione delle linee-guida per progetti di: Educazione civile Produttività delle risorse ambientali, storiche e culturali Percorsi turistici Città e borghi solidali Officine della pace Dialogo intergenerazionale Transizione ecologica locale Cooperazione giovanile Mercoledì 31 9:00 Agenda Giovani 24-26 Rete interscolastica per lo sviluppo del territorio, la pace e la salvaguardia del pianeta 10:30 Attese globali, soluzioni locali Le aree interne dell’Africa, percorsi comuni e scambi culturali Enrico de Agostini ambasciatore italiano in Zambia e Malawi 11:30 Conclusioni |
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SFIDA DI PERIFERIA O SFIDA DALLA PERIFERIA?
Essere cittadini del mondo e motore di comunità, la sfida dei prossimi anni è dunque proprio questa: sguardo alle grandi questioni del pianeta e tutela delle storie locali. Quella dei giovani appare una missione decisiva in questa
transizione infinita che non riesce a guadagnare l’altra riva dove finalmente provare a scompaginare gli egoismi e il profitto perverso, tutelare i diritti dei più deboli e declinare una cultura di reciprocità che guardi al bene comune.
Se guardiamo alla storia dei Paesi poveri, dei piccoli e isolati borghi, delle realtà più emarginate, ci accorgiamo che la loro ambizione di condividere un respiro planetario si scontra con l’arroganza della velocità che semina la parte più intima dell’umanità senza la quale ogni corsa finisce sul traguardo dei singoli interessi.
I Sud del mondo nella stragrande maggioranza restano degli incubatori di sfiducia e di rassegnazione, mentre il Sud dell’anima, che si manifesta con le sue nuove e attuali fragilità e povertà, rappresenta un macigno sul cammino
del riscatto sociale delle comunità dove cresce l’esodo dei giovani, si aggrava la crisi demografica, la mancanza di lavoro non consente pari dignità alle persone e i servizi restano del tutto insufficienti. La soluzione considerata meno sanguinosa sul piano psicologico e strumentale appare ancora quella della delega ben al di là delle scelte di carattere democratico-rappresentativo.
Ci facciamo da parte quando servirebbe invece un coinvolgimento pieno e consapevole. È urgente invece recuperare il dovere della partecipazione perché venga posto in cima all’agenda delle cose da fare per la salvaguardia delle società locali, soprattutto delle tantissime comunità panda che vengono considerate quasi reperti archeologici viventi a favore di selfie invece che oggetto di valorizzazione e di concreto rilancio. Per queste realtà solo stagionali sussulti legati agli umori dei governi.
Ecco perché il futuro non riesce a consolidare i suoi muscoli e gli spasmi di orizzonte non vengono sempre metabolizzati in una nuova generosità di racconto, in una diversa visione del rapporto tra le generazioni, in percorsi
politico-amministrativi seri e responsabili che sostituiscano i microfoni sempre accesi e le antenne incapaci di ricevere segnali dai bisogni reali dei territori. Dovremmo sollecitare uomini e donne a fare il primo passo, i giovani a ripartire senza partire, la comunità a respirare speranza, riscoprire il valore della corresponsabilità, donare competenze a vantaggio di tutti e non sterilizzarle nei singoli prodotti performanti. Ritrovare cioè il senso più profondo del termine fiducia che spesso viene scambiata per speranza passiva. Servono un ascolto pulito, progetti settoriali ma non egoistici,
cammini protetti ma coraggiosi.
Le piccole realtà hanno una loro intrinseca biodiversità da salvaguardare e rilanciare attraverso un impegno collettivo che prescinde dalle scelte, a volte scellerate, dei governi istituzionali. Non si dovrebbe mai scambiare il ruolo di una comunità raccolta profondamente intorno alle sue radici per un centro urbano con altre e maggiori potenzialità, finendo per restare frustrati dai limiti e le carenze territoriali e strutturali. Sarebbe sbagliato a esempio replicare nelle piccole realtà certe strategie perverse messe in campo per ragioni di consenso politico o protagonismo dei singoli, abitudine purtroppo consolidata che ha già trasformato e ridotto a ruolo di spettatori acritici gli abitanti delle città, soprattutto di piccole e medie dimensioni.
Non servono in sostanza colpi di tacco ma una squadra che lavori con generosità per il risultato comune. Oggi purtroppo le comunità, già fragili, si trasformano in “povertà chiuse” rincorrendo quote di assistenza per se stesse
senza alcuna visione circolare. Una pessima declinazione della speranza che condanna i piccoli centri rafforzando l’egoismo dei poteri economici. La politica si adegua, gestisce e ottimizza la rassegnazione con una serie di complicità in grado di trasformare in consenso disperato la resa delle coscienze.
Tuttavia si avvertono segnali di un nuovo sentimento civile, nascono adeguate competenze, emerge una maggiore consapevolezza del valore delle risorse locali e si riaccende l’ardore per utili progettualità. Il lamento- appello dei giovani. “Speriamo di restare” si fa sempre più labile ma può e deve trasformarsi nella certezza che “Per chi resta c’è speranza”. L’invito alle nuove generazioni è: Occupare la Speranza, non permettere che venga abusivamente coltivata da altri.
transizione infinita che non riesce a guadagnare l’altra riva dove finalmente provare a scompaginare gli egoismi e il profitto perverso, tutelare i diritti dei più deboli e declinare una cultura di reciprocità che guardi al bene comune.
Se guardiamo alla storia dei Paesi poveri, dei piccoli e isolati borghi, delle realtà più emarginate, ci accorgiamo che la loro ambizione di condividere un respiro planetario si scontra con l’arroganza della velocità che semina la parte più intima dell’umanità senza la quale ogni corsa finisce sul traguardo dei singoli interessi.
I Sud del mondo nella stragrande maggioranza restano degli incubatori di sfiducia e di rassegnazione, mentre il Sud dell’anima, che si manifesta con le sue nuove e attuali fragilità e povertà, rappresenta un macigno sul cammino
del riscatto sociale delle comunità dove cresce l’esodo dei giovani, si aggrava la crisi demografica, la mancanza di lavoro non consente pari dignità alle persone e i servizi restano del tutto insufficienti. La soluzione considerata meno sanguinosa sul piano psicologico e strumentale appare ancora quella della delega ben al di là delle scelte di carattere democratico-rappresentativo.
Ci facciamo da parte quando servirebbe invece un coinvolgimento pieno e consapevole. È urgente invece recuperare il dovere della partecipazione perché venga posto in cima all’agenda delle cose da fare per la salvaguardia delle società locali, soprattutto delle tantissime comunità panda che vengono considerate quasi reperti archeologici viventi a favore di selfie invece che oggetto di valorizzazione e di concreto rilancio. Per queste realtà solo stagionali sussulti legati agli umori dei governi.
Ecco perché il futuro non riesce a consolidare i suoi muscoli e gli spasmi di orizzonte non vengono sempre metabolizzati in una nuova generosità di racconto, in una diversa visione del rapporto tra le generazioni, in percorsi
politico-amministrativi seri e responsabili che sostituiscano i microfoni sempre accesi e le antenne incapaci di ricevere segnali dai bisogni reali dei territori. Dovremmo sollecitare uomini e donne a fare il primo passo, i giovani a ripartire senza partire, la comunità a respirare speranza, riscoprire il valore della corresponsabilità, donare competenze a vantaggio di tutti e non sterilizzarle nei singoli prodotti performanti. Ritrovare cioè il senso più profondo del termine fiducia che spesso viene scambiata per speranza passiva. Servono un ascolto pulito, progetti settoriali ma non egoistici,
cammini protetti ma coraggiosi.
Le piccole realtà hanno una loro intrinseca biodiversità da salvaguardare e rilanciare attraverso un impegno collettivo che prescinde dalle scelte, a volte scellerate, dei governi istituzionali. Non si dovrebbe mai scambiare il ruolo di una comunità raccolta profondamente intorno alle sue radici per un centro urbano con altre e maggiori potenzialità, finendo per restare frustrati dai limiti e le carenze territoriali e strutturali. Sarebbe sbagliato a esempio replicare nelle piccole realtà certe strategie perverse messe in campo per ragioni di consenso politico o protagonismo dei singoli, abitudine purtroppo consolidata che ha già trasformato e ridotto a ruolo di spettatori acritici gli abitanti delle città, soprattutto di piccole e medie dimensioni.
Non servono in sostanza colpi di tacco ma una squadra che lavori con generosità per il risultato comune. Oggi purtroppo le comunità, già fragili, si trasformano in “povertà chiuse” rincorrendo quote di assistenza per se stesse
senza alcuna visione circolare. Una pessima declinazione della speranza che condanna i piccoli centri rafforzando l’egoismo dei poteri economici. La politica si adegua, gestisce e ottimizza la rassegnazione con una serie di complicità in grado di trasformare in consenso disperato la resa delle coscienze.
Tuttavia si avvertono segnali di un nuovo sentimento civile, nascono adeguate competenze, emerge una maggiore consapevolezza del valore delle risorse locali e si riaccende l’ardore per utili progettualità. Il lamento- appello dei giovani. “Speriamo di restare” si fa sempre più labile ma può e deve trasformarsi nella certezza che “Per chi resta c’è speranza”. L’invito alle nuove generazioni è: Occupare la Speranza, non permettere che venga abusivamente coltivata da altri.
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FINO A UN CERTO PUNTO
Ogni periferia ha un centro, bisogna solo scoprirlo. Sarà importante scommettere realmente sul racconto, sulla bellezza e sull’innovazione sostenibile e condivisa, che configurerebbero l’accesso a una memoria dinamica che non vanifichi le tradizioni ma ne faccia una narrazione sempre nuova e coinvolgente; puntare sulla vocazione all’ospitalità, aprire cantieri
imprevedibili di idee, presentarsi all’attenzione generale come luoghi di incontro e di sperimentazione, di cultura, di arte, di musica e di nuovi linguaggi.
È la sfida di comunità umili e orgogliose, determinate e solidali, pronte a intraprendere processi virtuosi ma frustrate da una lunga storia di sconfitte e di completo abbandono alle gestioni clientelari delle politiche locali.
Dobbiamo insegnare ad avere nostalgia del progetto non del capo, stimolare una grande mobilitazione per l’unità.
Si apra un confronto serio e strategico con l’esperienza dei giovani espulsi dai territori, di quelli che coraggiosamente resistono e che cercano sbocchi produttivi per se stessi e per le loro comunità, di quelli che scelgono l’azione
politica diretta o la cittadinanza attiva, che hanno ottenuto successo in altri paesi europei o regioni e province italiane, i tanti che ormai scelgono la strada della cooperazione. In particolare bisogna confrontarsi con il mondo della scuola che ancora oggi, nonostante le difficoltà occupazionali e la precaria condizione di certe zone del Paese, propone programmi di studio completamente disancorati dalle vocazioni e le opportunità territoriali di sviluppo, specie nei campi dell’agricoltura, del paesaggio, del settore eno-gastronomico e turistico, dei beni culturali. Il territorio rappresentato dalle
istituzioni non riesce a creare le necessarie infrastrutture per la costruzione di piani e strategie a vantaggio delle attese giovanili.
La scuola (e per certi versi, la stessa università) sembra ormai assopita sulla burocrazia e in preda a un’escalation di stereotipate progettualità che non convergono su comuni e produttivi interessi territoriali, e soprattutto aggrappata a uno schema competitivo e da prestazione che frustra e ignora tantissime individualità senza riuscire a fecondare la più generale creatività produttiva. Si dovrebbe operare per svolte significative e per una più coerente immersione nell’attualità in cui intercettare nel profondo e condividere le esigenze reali dei giovani, contribuire a coltivarne le pulsioni migliori e sostenerle per la crescita della comunità.
I settori vitali e la classe riflessiva, in questo tempo così complesso, veloce ma bloccato, dovrebbero esaltare il valore della reciprocità, elevare il livello dell’azione per il bene di tutti per evitare che anche i nuovi aneliti di cambiamento si scontrino con quella che potremmo definire l’artrosi civica, cioè la tendenza ad avanzare fino a un certo punto e poi ribalzare nella nostra indifferenza o rassegnazione. La partecipazione sociale vive di pirotecnici tentativi e non è allenata per le lunghe distanze; il potere della politica, o meglio la politica del potere, sta nella capacità dei suoi maratoneti.
C’è una immagine che rende bene questa idea, l’homo elettoralis, colui cioè che produce lo sforzo maggiore nell’inserirsi tra le divisioni egoistiche della società per lucrare quotidianamente - ed esclusivamente - consenso in base
a piccole scelte non rispondenti al bene comune ma all’esclusivo interesse dei pochi. Questo tipo di politica è in grado di produrre a tempo indeterminato tempi determinati. Tradotto: campagna elettorale permanente con l’obiettivo
di escludere dai programmi le visioni più ampie e condivise. Si induce il bisogno e si sfrutta la dipendenza, questa è la sorte delle piccole comunità dove l’effervescenza fine a se stessa della politica formato CEPU e l’eccitazione senza seguito delle élite non contribuiscono a convocare utili energie per allestire piani di volo. L’unità viene dispersa nei mille rivoli della società degli spalti dove il cittadino-elettore va in letargo tra una tornata e l’altra di espressione democratica.
imprevedibili di idee, presentarsi all’attenzione generale come luoghi di incontro e di sperimentazione, di cultura, di arte, di musica e di nuovi linguaggi.
È la sfida di comunità umili e orgogliose, determinate e solidali, pronte a intraprendere processi virtuosi ma frustrate da una lunga storia di sconfitte e di completo abbandono alle gestioni clientelari delle politiche locali.
Dobbiamo insegnare ad avere nostalgia del progetto non del capo, stimolare una grande mobilitazione per l’unità.
Si apra un confronto serio e strategico con l’esperienza dei giovani espulsi dai territori, di quelli che coraggiosamente resistono e che cercano sbocchi produttivi per se stessi e per le loro comunità, di quelli che scelgono l’azione
politica diretta o la cittadinanza attiva, che hanno ottenuto successo in altri paesi europei o regioni e province italiane, i tanti che ormai scelgono la strada della cooperazione. In particolare bisogna confrontarsi con il mondo della scuola che ancora oggi, nonostante le difficoltà occupazionali e la precaria condizione di certe zone del Paese, propone programmi di studio completamente disancorati dalle vocazioni e le opportunità territoriali di sviluppo, specie nei campi dell’agricoltura, del paesaggio, del settore eno-gastronomico e turistico, dei beni culturali. Il territorio rappresentato dalle
istituzioni non riesce a creare le necessarie infrastrutture per la costruzione di piani e strategie a vantaggio delle attese giovanili.
La scuola (e per certi versi, la stessa università) sembra ormai assopita sulla burocrazia e in preda a un’escalation di stereotipate progettualità che non convergono su comuni e produttivi interessi territoriali, e soprattutto aggrappata a uno schema competitivo e da prestazione che frustra e ignora tantissime individualità senza riuscire a fecondare la più generale creatività produttiva. Si dovrebbe operare per svolte significative e per una più coerente immersione nell’attualità in cui intercettare nel profondo e condividere le esigenze reali dei giovani, contribuire a coltivarne le pulsioni migliori e sostenerle per la crescita della comunità.
I settori vitali e la classe riflessiva, in questo tempo così complesso, veloce ma bloccato, dovrebbero esaltare il valore della reciprocità, elevare il livello dell’azione per il bene di tutti per evitare che anche i nuovi aneliti di cambiamento si scontrino con quella che potremmo definire l’artrosi civica, cioè la tendenza ad avanzare fino a un certo punto e poi ribalzare nella nostra indifferenza o rassegnazione. La partecipazione sociale vive di pirotecnici tentativi e non è allenata per le lunghe distanze; il potere della politica, o meglio la politica del potere, sta nella capacità dei suoi maratoneti.
C’è una immagine che rende bene questa idea, l’homo elettoralis, colui cioè che produce lo sforzo maggiore nell’inserirsi tra le divisioni egoistiche della società per lucrare quotidianamente - ed esclusivamente - consenso in base
a piccole scelte non rispondenti al bene comune ma all’esclusivo interesse dei pochi. Questo tipo di politica è in grado di produrre a tempo indeterminato tempi determinati. Tradotto: campagna elettorale permanente con l’obiettivo
di escludere dai programmi le visioni più ampie e condivise. Si induce il bisogno e si sfrutta la dipendenza, questa è la sorte delle piccole comunità dove l’effervescenza fine a se stessa della politica formato CEPU e l’eccitazione senza seguito delle élite non contribuiscono a convocare utili energie per allestire piani di volo. L’unità viene dispersa nei mille rivoli della società degli spalti dove il cittadino-elettore va in letargo tra una tornata e l’altra di espressione democratica.
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IL QUARTO FORUM
La denuncia dei vescovi e la creazione del Forum, oltre quattro anni fa, hanno contribuito a riaccendere i riflettori sul tema delle aree interne e di quelle più fragili. Politici, imprenditori, associazioni, intellettuali, tecnici, economisti, operatori laici e credenti sono stati coinvolti in un percorso che ha riguardato fino ad ora soprattutto i temi della Consapevolezza, della Conoscenza e della Competenza.
Non sembra però concretizzarsi un interesse profondo sulle cause del mancato sviluppo e sui ritardi economici e culturali di certe realtà, mentre il contributo degli amministratori e degli operatori economici a un disegno collettivo resta labile e svogliato. Immancabili invece gli studi su cosa stia avvenendo in certi territori di cui però le popolazioni e le comunità sanno già tutto. Il loro grido, certamente più efficace se realmente condiviso, sarebbe il vero punto di svolta per una reale stagione di riscatto.
In tutti i casi le giovani generazioni non vengono seriamente coinvolte e raramente in questi anni si sono create feconde e significative sinergie. Tocca invece proprio ai giovani, spesso portatori di progetti nuovi e creativi per i loro territori - che però sono costretti ad abbandonare -, diventare perno centrale di strategie produttive, cittadini del mondo ma anche motore di comunità, azionisti sociali e politici coraggiosi in grado di contrastare le scelte dei governi nazionali e locali quando esse finiscono per accentuare le disuguaglianze.
Allora i giovani provino a dettare un’Agenda per le aree interne, per affrontare e condividere da protagonisti utili orizzonti comuni.
Il quarto forum è concepito come officina per la produzione di percorsi operativi e convergenti lungo i quali sperimentare misure capaci di novità sostanziali. In questo processo ricostitutivo le istituzioni educative, oltre a garantire e potenziare i programmi curriculari, dovrebbero recuperare i ritardi accumulati nell’attitudine a osservare con efficacia il territorio e le sue dinamiche , superare lo schema di “parcheggio” delle pulsioni socio-politiche dei giovani, favorire e incoraggiare il dialogo intergenerazionale avendo presente almeno quattro direttrici di marcia:
- Cura alle persone fragili.
Maggiore attenzione all’accoglienza reale e a un’assistenza sociale e sanitaria fondata su un disegno programmatico,
moderno e integrato, in cui non manchi la cura sistematica alle persone disabili e anziane; definizione di programmi di reciprocità e di interscambi operativi nella cura alle fragilità, antiche e moderne. Prendersi in sostanza cura dei disagi materiali e psicologici che caratterizzano le storie e la vita delle comunità locali.
- Valorizzazione dei beni e delle tradizioni culturali.
Potenziamento dei sistemi di conoscenza e favorire processi di consapevolezza delle risorse esistenti sul territorio; favorire idee e progetti scolastici di formazione al patrimonio culturale e paesaggistico; attivazione di intese istituzionali
concrete e operative; progetti turistici profondi e creativi grazie ai quali alzare il livello del coinvolgimento delle popolazioni residenti; esplorazione programmata di nuovi linguaggi artistici al servizio della comunità e del suo
sviluppo economico; rapporti costruttivi con gli enti di tutela e valorizzazione dei beni culturali per una maggiore difesa e fruibilità delle ricchezze artistiche e archeologiche .
- Sussidiarietà e integrazione sociale.
Una più razionale gestione dell’accoglienza dei migranti e una diversa e incisiva capacità di azione nelle periferie urbane e territoriali con azioni e misure economiche mirate e convergenti; rete di servizi educativi e di socializzazione; gruppi di formazione tecnologica per l’alfabetizzazione digitale dei più anziani e delle fasce sociali più deboli.
- Rivincita della bellezza.
Nuova e più intensa offensiva artistica e culturale nei borghi dove il disagio e la povertà hanno mortificato la fruizione della bellezza come valore decisivo per la crescita culturale e politica delle comunità; progetti dedicati alla musica, all’arte, alla letteratura, alla comunicazione nell’ambito di una strategia circolare in cui inserire le risorse
più nascoste e meno sviluppate in una pianificazione integrata di sviluppo; rilancio produttivo delle eccellenze rappresentate dalla natura, dall’archeologia e dalla storia locale; raccordo tra i piani turistici di città e
provincia; potenziare iniziative che consentano un dialogo tra arte e cultura classica e le più interessanti esperienze contemporanee; evitare errori strategici nella integrazione produttiva di grandi evidenze storico-scientifiche
che, nonostante la loro straordinaria importanza, vengono praticamente esiliate dal contesto dello sviluppo locale (esempio emblematico quello del famosissimo fossile di dinosauro, denominato Ciro, ritrovato nel territorio di
Pietraroja in provincia di Benevento, che prosegue in perfetto isolamento la sua storia all’interno del centro operativo della Soprintendenza e che invece potrebbe da solo muovere una consistente fetta di economia del territorio).
In questo scenario, che comprende le diverse caratteristiche strutturali ed esistenziali delle comunità meno sviluppate, il dialogo intergenerazionale diventa straordinario innesco di un sistema fondato sulla memoria dinamica (garantire la continuità del racconto e integrarlo con nuove e coraggiose idee-azioni), sulla concretezza visionaria (più determinazione nel guardare in alto anche con progetti di estrema quotidianità) e sulla speranza condivisa (non
più attese egoistiche bensì un ampio e articolato lavoro di gruppo).
Non rinunciamo infine a declinare il tema della pace preventiva, valore complesso e delicato su cui si fondano la capacità di tenerezza e di coraggio sui fronti delle povertà, l’urgenza del realismo e della generosità nelle relazioni e nel rapporto tra le generazioni, il coinvolgimento appassionato e responsabile nelle scelte per il futuro del pianeta e dell’umanità, la determinazione nel percepire le energie educative e propositive come opportunità concreta per sfidare l’indifferenza, per intercettare la velocità ma garantire alle nostre vite il diritto di rallentare senza farci tamponare dal
presente.
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